Ordinanza n. 146/2000

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ORDINANZA N. 146

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO   

- Massimo VARI  

- Cesare RUPERTO   

- Riccardo CHIEPPA     

- Gustavo ZAGREBELSKY    

- Valerio ONIDA     

- Carlo MEZZANOTTE  

- Fernanda CONTRI   

- Piero Alberto CAPOTOSTI     

- Annibale MARINI    

- Franco BILE    

- Giovanni Maria FLICK    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7 secondo comma del regio decreto 30 ottobre 1933 n. 1611 (Ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), promossi con tre ordinanze emesse il 9 marzo 1999 dal Tribunale di Verona, rispettivamente iscritte ai nn. 345, 346 e 347 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale dell'anno 1999.

 Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Franco Bile.

 Ritenuto che con le tre ordinanze in epigrafe il Tribunale di Verona - con motivazioni di identico tenore - ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 7, secondo comma, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Ordinamento dell’Avvocatura dello Stato), in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, giudicando in procedimenti di reclamo ex art. 739 del codice di procedura civile, proposti nei confronti di ordinanze con cui il Pretore di Verona aveva respinto ricorsi di cittadini stranieri avverso decreti prefettizi di espulsione, adottati ai sensi dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);

 che nei procedimenti di reclamo il prefetto si è costituito eccependo l’incompetenza dell’adito tribunale ai sensi dell’art. 25 del codice di procedura civile, operando in proposito il c.d. foro erariale;

 che le ordinanze di rimessione - ritenuta l’ammissibilità del reclamo, al lume di una decisione della Corte di cassazione - affermano che l’eccezione di incompetenza sarebbe "rilevante", in quanto al reclamo (implicitamente equiparato all’appello) si applicherebbe l’art. 7, secondo comma, del r.d. n. 1611 del 1933, il quale - nel testo vigente al momento della pronuncia delle ordinanze - sanciva che, nelle ipotesi in cui il primo comma prevedeva che il foro erariale in primo grado non operasse (fra le quali all’epoca erano appunto comprese le cause di competenza pretorile), l’appello avverso le sentenze pretorili si dovesse proporre al tribunale del luogo ove ha sede l’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto le sentenze fossero state pronunciate, onde nella specie la competenza sarebbe spettata al Tribunale di Venezia;

 che le ordinanze, dopo avere osservato che l’incompetenza correlata al c.d. foro erariale sarebbe rilevabile in ogni stato e grado del processo, ritengono che la questione sollevata - pur ritenuta infondata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 118 del 1964 - debba essere riesaminata, in quanto il parametro costituzionale dell’art. 3 sarebbe leso per l’ingiustificato diverso trattamento fra i residenti in località sedi dell’avvocatura erariale ed i soggetti, cittadini italiani o non, colà non residenti, i quali sarebbero sfavoriti, avendo opportunità difensive minori, anche per il maggior carico di spese legali che dovrebbero sopportare rispetto ai primi per la necessità di dover adire il giudice della sede erariale;

 che, d’altro canto, le esigenze che la Corte costituzionale aveva addotto a sostegno della decisione di infondatezza - basate sul minor costo del servizio e sul suo migliore svolgimento garantito dal foro erariale - si sarebbero ormai affievolite, in ragione della facilità e rapidità delle comunicazioni, che consentirebbero la difesa dell’erario in modo tempestivo anche fuori dalla sede distrettuale;

che il parametro costituzionale dell’art. 24 sarebbe leso, a sua volta, perché la prospettiva di dover adire il foro distrettuale indurrebbe i soggetti interessati alla desistenza dall’opposizione contro i provvedimenti dell’amministrazione;

che il Presidente del Consiglio dei ministri è intervenuto in tutti i giudizi, sostenendo la necessità che gli atti siano restituiti al giudice a quo per nuova valutazione sulla rilevanza della sollevata questione, in ragione della sopravvenienza dell’art. 4 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113 - da considerarsi immediatamente applicabile nei giudizi a quibus - il quale ha escluso la reclamabilità del provvedimento che decide sul ricorso avverso il decreto di espulsione ed ha previsto la sua ricorribilità in cassazione.

 Considerato che le ordinanze in epigrafe sollevano, con motivazione identica, questione di costituzionalità della stessa norma, onde i relativi giudizi possono essere riuniti;

 che successivamente alla pronuncia delle ordinanze di rimessione - come ha dedotto il Presidente del Consiglio dei ministri - è entrato in vigore l’art. 4 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 113 (Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40), che ha inserito nel d.lgs. n. 286 del 1998 un art. 13-bis, il cui quarto comma prevede che la decisione sul ricorso avverso il provvedimento di espulsione sia non reclamabile, ma ricorribile per cassazione;

che in forza della suddetta disposizione il quadro normativo potenzialmente disciplinante il giudizio a quo, specie per quanto concerne l’ammissibilità dell’impugnazione, è obbiettivamente mutato, in quanto il mezzo di impugnazione con il quale detto giudizio è stato instaurato non risulta più previsto;

che, in assenza di specifiche norme di diritto transitorio, che non sono state dettate dal legislatore a proposito dei giudizi pendenti, si pone il problema dell’immediata applicabilità dell’indicata innovazione legislativa nei giudizi a quibus;

che compete al giudice rimettente valutare se detta applicabilità sussista (e quali siano le sue conseguenze sui giudizi a quibus), oppure se tali giudizi continuino ad essere disciplinati dalla normativa precedente, come interpretata dal giudice di legittimità nella pronuncia che lo stesso rimettente ha citato;

 che conseguentemente tale jus novorum appare potenzialmente incidente sulla valutazione di rilevanza della sollevata questione, e quindi - competendo essa al giudice rimettente - si impone, secondo consolidata giurisprudenza della Corte, la restituzione degli atti al medesimo, perché riesamini la persistenza della rilevanza della questione alla luce della norma sopravvenuta;

 che la restituzione degli atti appare, inoltre, giustificata, anche in ragione di un’ulteriore sopravvenienza normativa, rappresentata dall’entrata in vigore della disciplina istitutiva del giudice unico di primo grado, recata dal decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), avvenuta, per il processo civile, con effetto dal 2 giugno 1999, ai sensi dell’art. 247, primo comma, nel testo modificato dall’art. 1 della legge 16 giugno 1998, n. 188 (Proroga del termine di efficacia del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, recante norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado);

 che - avendo il suddetto intervento legislativo, fra l’altro, soppresso l’ufficio pretorile - la soppressione appare potenzialmente incidente sulla sollevata questione, trattandosi di stabilire le sue conseguenze su una norma quale quella denunciata dal rimettente, che espressamene si riferisce a tale ufficio;

 che compete al rimettente valutare quali siano queste conseguenze e se esse incidano sul giudizio di rilevanza della questione sollevata.

per questi motivi

la corte costituzionale

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Verona.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 maggio 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in cancelleria il 16 maggio 2000.